Della complessità del Verdicchio (e del mondo): "NOn è il viNo dell'eNOlogo - Lessico di un vignaiolo che dissente".


“E poi, in Italia, c'è il razzismo verso il vino bianco. Ai rossisti più intransigenti, così come ai puristi del vino tecnico, ci sono alcuni  vini bianchi che vorrei far assaggiare, per comunicare il concetto difficile e controverso di complessità. (Corrado Dottori, Non è il vino dell'enologo)

Non è il vino dell'enologo me lo sono letto tutto d'un sorso. Scorre giù che è un piacere sottoforma di zibaldone di pensieri, che diviene lessico *per un'altra contadinità*, personale manifesto contro la costruzione enologica di un gusto innocuo che non tollera tensioni e contrasti. Alla lettera C arriva il termine fulcro: "complessità". L'autore, il vignaiolo dissidente Corrado Dottori, ha scritto un libro complesso come il suo vino Verdicchio, dove tematiche quali la globalizzazione, altrove ridotte a slogan, vengono qui affrontate nelle proprie profonde contraddizioni.

Si parla di vino per parlare di altro, lo avrete capito. C'è tanta musica ad esempio: Kind of blue di Miles Davis, Civilians di Joe Henry, Hallelujah, quella di Jeff Buckley e pure The Heart of Saturday night di un giovane Tom Waits, all'epoca sprovvisto della sua inconfondibile e irresistibile voce martoriata.

Il racconto inizia con la morte, improvvisa, del padre del narratore. L'intimo ricordo del loro rapporto e il duro percorso dell'elaborazione del lutto costituiscono uno dei fili rossi del libro. «Perché la realtà è che passato il dolore resta il vuoto. Quando dall'altra parte della cornetta manca una voce, quando non ti appare più quel viso, quando ti viene in mente un ricordo e non puoi più condividerlo».

IL GIORNALISMO DIGITALE IN ITALIA. Intervista a Alessandro Gazoia aka Jumpinshark, autore di "Il web e l'arte della manutenzione della notizia"


Una delle tante ipotesi di post che dormono nella sezione bozze di questo blog si intitola: L'aspirante blogger troppo cronopio per diventare tale, ovvero: non siamo tutti Jumpinshark. L'amena trovata muoveva dalla banale constatazione di come l'enormità di spunti appuntati su taccuini e post-it virtuali riuscisse solo raramente a concretissarsi in pezzi compiuti e appaganti, complice, tra le altre cose, una mia cronica simpatia per la procrastinazione Quando, mesi e mesi fa, parlai con la mia amica Daniela Finizio su Skype di questo problema, lei mi rispose così: «Non hai idea ti come ti capisco su questo, del resto ... non siamo tutto JS :)» dandomi lo spunto per il titolo di quel post mai pubblicato. Daniela non ebbe bisogno di specificare a chi si riferisse con JS e perché avesse scelto lui come esempio virtuoso. JS sta, appunto, per Jumpinshark, un blogger bravissimo dal timbro stilistico peculiare e riconoscibile che sforna post di qualità in sorpredente quantità capaci di spaziare in vari campi dello scibile umano.  Tra questi c'è il giornalismo digitale, con particolare riferimento alle sue storture. L'interesse per l'argomento è sfociato in un saggio edito da Minumum Fax e disponibile esclusivamente in ebook. Jumpinshark mette da parte il sarcasmo tipico del suo blog riuscendo però a essere sottilmente pungente verso scelte editoriali bislacche, oltre a indicare percorsi virtuosi intrapresi e intraprendibili. La Daniela di cui sopra (DF) lo ha intervistato a riguardo su Skype (ogni tanto facevo capolino anch'io - FS - per soddisfare qualche curiosità) e ha accettato volentieri la mia proposta di pubblicare in questo spazio la lunga chiacchierata. A lei la parola.
Francesco Spè

                                                Intervista di Daniela Finizio

Il Web e l’arte della manutenzione della notizia di Alessandro Gazoia (aka Jumpinshark) è un libro importante. Per quanto ne so è il primo che analizza sistematicamente e specificamente il giornalismo digitale in Italia. Dal libro emerge un quadro in cui grandi testate che sono andate online (Repubblica e il Corriere della Sera su tutte) e più o meno piccole testate native digitali competono per accaparrarsi i click degli utenti e accrescere la loro unica fonte di introito che è la pubblicità. In questo contesto le notizie scandalistiche e curiose della colonna di destra, che sono un po’ il marchio distintivo e onnipresente del siti di informazione online, sono solo una parte di un fenomeno ampio in cui l’intreccio di fattori come la crisi economica e la scarsa propensione degli utenti a pagare per i contenuti online creano un clima poco favorevole alla sperimentazione di approcci innovativi che accrescano indipendenza ed autorevolezza del giornalismo digitale. In questa intervista fiume, a cui Jumpinshark si è pazientemente sottoposto, partiamo dalle suggestioni del libro per allargare il discorso all’editoria digitale e alle opportunità, e limiti, di Internet come mezzo di informazione: Jumpinshark ci racconta come si fa la “manutenzione della notizia” sul web e di come il contesto digitale (ed economico) molto spesso imponga vizi e virtù del modo di fare comunicazione online come oggi lo conosciamo.

DF: Sul web sei noto come Jumpinshark e prima che uscisse il libro non ti eri mai firmato con nome e cognome. Come mai questa volta hai scelto di firmarti anche Alessandro Gazoia?
Sono convinto che pubblicando solo con il mio pseudonimo, nickname, nom de plume avrei danneggiato il libro e la casa editrice. Se avessi scritto un testo narrativo lo avrei firmato come Jumpinshark, affrontando volentieri le critiche, serie e meno serie, di molti (Jumpinshark è pseudonimo stupido, d’accordo, ma, si licet, Italo Svevo non è nome vero e Peter Finlay con il nom de plume DBC Pierre, dove DBC sta per dirty but clean, ha vinto un Booker Prize…). E se avessi scritto un saggio sulla street art in Italia o un fumetto (Zerocalcare, Makkok ecc.) avrei “dovuto” usare uno pseudonimo, perché in quei contesti e in quel genere letterario va bene cosi. Il nostro comune amico Flavio Pintarelli pubblicherà un libro sullo skate per Agenzia X e gli continuo a dire, scherzando sul serio, di trovarsi al più presto un nick d’impatto (forse Pintask8 spacca abbastanza), perché in quel caso, stimato editore di movimento e tema metropolitano, il mero nome anagrafico stona, diciamo. Invece scrivere un testo sul giornalismo italiano e firmarlo con uno pseudonimo crea problemi, perché, in quel contesto italiano (e non solo italiano), si tende a considerare le identità di rete come qualcosa di poco serio e molto deresponsabilizzante. E se anche il libro fosse stato preso in considerazione mi avrebbero messo nella posizione del blogher cupo che trafika con le parole e scrive il libro contro i giornalisti... Non volevo quindi dover continuamente difendere lo pseudonimo e (argh) la qualifica di blogher, spostando su questi l’attenzione; non sarebbe stato giusto né per il testo né per l’editore: il mio ebook si sforza di essere oggettivo ed è (per quel che ne comprendo io) onesto, il taglio non è polemico e le critiche, pur presenti, evitano sempre l’aggressione e le urla. Quindi, come diceva mia nonna, paese che vai usanza che trovi e via con Alessandro Gazoia se serve a discutere nel merito.

DROGHE E GIORNALISMI: STEREOTIPI, EURISTICHE, “REPERTORIO”

Due settimane fa è morto a Macerata un ragazzo di 24 anni. Overdose. L'ho scoperto al bar sfogliando distrattamente il Corriere Adriatico, che riportava solo le iniziali del defunto, lette le quali è subito partita in me la preoccupata e furiosa ricerca/rassegna mentale delle *persone che conosco i cui nome e cognome iniziano con quelle due lettere e che “ci sta” che siano morte così*. Ricerca che fa il paio con quella, meno allarmata ma forse perfino più smaniosa, che rischia di partire come triste automatismo quando le iniziali sono quelle di un neo arrestato. Se ti trovi dinanzi a quelle lettere puntate associate ad altri “indizi”, si innescano facilmente euristiche fallaci.

Ho appreso il giorno dopo che il ragazzo si chiamava Paride. Non ricordando di conoscere nessuno con quel nome, ho tirato un respiro di sollievo di cui un po' mi vergogno. Come sei anni fa, quando appurai dopo qualche minuto di shock che il ragazzo neanche ventenne morto carbonizzato a seguito di un incidente stradale non era l'amico mio ma un altro con lo stesso cognome. Conoscevo pure lui, ma gli volevo meno bene.

IL "LIBERO" FỨTBOLOGICO / IL PALLONE AL CUBO


Una nueva mirada al fútbol que combina cultura, diseño y periodismo con la pasión del deporte más popular. (revistalibero.com)
Un discorso sul calcio da una prospettiva storica, comparatista e contemporanea. Di potere e di cultura popolare. Scienze sociali e fisiche, arte e letteratura. Il pressing alto e Piazza Tahrir. (futbologia.org)

Un paio di mesi fa sono entrato in un'edicola di Gernika e ho chiesto “Libero”. Non l'avrei mai detto. Colpa di Futbologia. Dove per Futbología intendo la *libreria specializzata in fútbol n.1 in Messico*. Un suo tweet mi ha informato dell'uscita di un nuovo trimestrale spagnolo a stampo futbologico, che con il becero “Libero” italico ha ben poco da spartire. Sganciando 5 euro (prezzo onesto) mi sono ritrovato tra le mani 120 pagine di calcio pensato. «Futbolizar la cultura o culturizar el futbol. Esta publicación es un humilde intento por conseguir esos objetivos». Si apre così l'editoriale del primo densissimo numero.

Qualche tempo prima avevo invece notato alcune visionarie menti della mia ballotta di twitter scambiarsi strani messaggi  di stampo calcistico. Da Benevento a Sanremo passando inevitabilmente per Bologna e per Roma. E pure l'amichetto sardo e quello di Bolzano parevano coinvolti. Stavano tramando qualcosa. Era evidente. Senza che fossi io a chiederlo mi arrivarono un paio di mail che svelerano l'arcano. In pentola stava bollendo qualcosa di grosso. Questo qualcosa di grosso all'epoca si chiamava Calcio e Rivoluzione e si sarebbe poi chiamato Fútbologia, proprio come la libreria messicana. «Il progetto è, in un certo senso, il primo esperimento di autoconvocazione della comunità che si ritrova su Giap, con arruolamenti da blog “cugini”. (es. Carmilla)». A parlare è Wu Ming 1. Quelli che hanno inventato Fútbologia sono infatti giapsters, lettori e commentatori frequenti del blog di Wu Ming. I due principali organizzatori poi, sono giapster speciali: Cristiano Presutti aka C. fu Luther Blissett, Luca di Meo aka L. fu Wu Ming 3. Quest'ultimo in un post su Giap definisce Fútbologia come un *progetto lucido e scriteriato*:
Fare una cosa seria, farla bene, su un argomento futile. Parlare di pallone, in un altro modo. Per divertirci. Per parlare di potere, storia, economia, conflitto, neuroscienze e teoria dei giochi a partire da quell’oggetto magico e dalle sue innumerevoli conseguenze. Senza nostalgie, ma storicizzando sempre. Da appassionati, ma guardando la realtà, quella cruda. Consapevoli, ma certi che si può parlare un altro calcio. E giocarne, come i bambini ci insegnano, uno migliore. [...] Coltivare questa risposta zemaniana alla depressione, alla carestia. Attacchiamo. Divertiamoci. Diamo buona prova di noi. Lavoriamo di squadra. Mangiamoci la cultura. Digeriamola, produciamola. Applichiamo soluzioni sghembe. L’uomo in più.

#1Q84, ovvero: "mannaggia a Murakami!" (aspettando #1Q84III)

Illustrazione di Joao Martins
❝ Non ti preoccupare. Per uno scrittore, è tutto nell'opera. Non è necessario aggiungere spiegazioni superflue❞. (Tengo)
❝ La maggior parte delle persone è incapace di giudicare il valore dei libri. Però nessuno vuole rimanere fuori dalla corrente che muove il mondo❞. (Komatsu)
Non avevo mai letto un sol romanzo di Murakami Haruki. Era uno di quegli autori che a pelle non mi ispiravano fiducia e che puntualmente schivavo al momento di scegliere il libro da portare via dalla biblioteca o dalla libreria. Adocchiavo i titoli spesso stimolanti, mi dirigevo in quarta di copertina, leggicchiavo gli incipit, posavo il libro. Per convincermi a superare le mie remore e intraprendere la lettura del suo ultimo romanzo ci è voluta una sequela di tweet scritti da alcuni lettori la cui opinione tengo sempre in conto. @zeropregi, @baruda, @yamunin, @adrianaaaa, @platipuszen e molti altri mi hanno trascinato a procurarmi quel testo. E non sono stato il solo smosso da quei tweet, che parevano così sentiti da risultare maledettamente convincenti (anche se a qualcuno l'overdose di commenti e citazioni ha causato l'effetto inverso!).


Ringrazio l'entusiasmo contagioso di quei tweeps murakaniani perché sebbene il libro in questione - 1Q84 (parte 1 e 2) – non mi abbia completamente rapito come ha fatto con loro, mi sono proprio divertito a leggere le storie che gravitano intorno ai protagonisti Tengo e Anoname e alla due lune sopra le loro teste.

Illustrazione di Sakanami

#FF per Follow Friday

Tra il materiale *extra* di una ipotetica (e in fieri perenne) versione 2.0 di Un collettivo, 140 catatteri. Wu Ming, Twitter e la Repubblica democratica dei lettori (aka #wuming140) c'è questo agile storify sull'antica pratica del follow friday e sulle sue simpatiche contraddizioni, con particolare riferimento all'utilizzo che ne fa(ceva) @wu_ming_foundt

LETTERATURA SOCIALE - Stefano Tassinari e "Nuova Rivista Letteraria"

I miei 4 numeri di "Nuova Rivista Letteraria - semestrale di letteratura sociale" diretto da Stefano Tassinari e edito da Alegre

Vidi e ascoltai Stefano Tassinari per la prima volta il pomeriggio in cui intervistai Wu Ming 1. A Bologna c'era "Fiom in festa" e Tassinari presentava "Nuova Rivista Letteraria" proprio insieme a Wu Ming 1, arrivato sul palco con un pizzico di ritardo perché trattenuto pochi metri più in alto dalla mia sfilza di domande. Prima di quel giorno conoscevo Tassinari solo di nome e ignoravo completamente l'esistenza della rivista. In quell'occasione Wu Ming 1 parlò di Grillo e del criptofascismo insito nel suo movimento, anticipando alcuni spunti del pezzo che apre l'ultimo numero di questo densissimo *semestrale di letterura sociale*, uscito il 4 novembre 2011. Quel pezzo si chiama Il senso della non appartenenza e altro non è che la versione cartacea di quello che, un paio di mesi dopo, sarebbe diventato il post più commentato della storia di Giap: Appunti diseguali sulla frase «Né destra, né sinistra».

Ad oggi sono usciti 4 numeri di "Nuova Rivista Letteraria" preceduti però da altri 2  - a me ignoti - editi da Editori Riuniti, che non ha concesso la possibilità di mantenere l'uso della vecchia testata col passaggio a Alegre, dovuto a numerosi scazzi spiegati dallo stesso Tassinari nell'editoriale n. 1 (ovvero il n.3)